La sensualità surreale di Leonor Fini

Le sue donne, magiche ed erotiche, non seguono l’estetica del tempo:


sono immerse in un impeto di immagini oniriche, sfingi e maschere, che attraggono per la loro indipendenza. Diventano seduttrici e guardiane di uomini addormentati, in una androginia che rappresenta per Leonor sì la bellezza autentica, ma anche un simbolo di protesta per la società di quel tempo che normalizza il maschilismo, motivo per il quale non vuole aderire al movimento del Surrealismo, ed essere etichettata come tale. Il suo tormento nasce sicuramente dalla forte possessività paterna nei suoi anni più puri, in cui tenta di rapirla. Anni in cui scappa insieme alla madre, costretta a travestirsi per non essere trovata, inizierà successivamente ad amare quel mascheramento che diventerà un gioco, una scoperta del suo lato maschile, un teatro tragico, una recita fondamentale per la sua vita.

 
 

A Roma sconvolge l’ambiente intellettuale, diventa ritrattista di personaggi mondani, con Anna Magnani ed Elsa Morante, sono soprannominate “le gattare”, per la loro passione per i felini della città. Crea costumi e incantate scenografie per Strehler, il Teatro alla Scala, il San Carlo di Napoli, l’Opéra di Parigi. Fornisce l'ispirazione a Fellini per i costumi di “Otto e mezzo” e “Satyricon". Suoi i costumi di “Dommage qu'elle soit une putain” di Luchino Visconti. Ammalia uomini e donne con i suoi occhi neroblu. Picasso tenta di sedurla ma lei rifiuta, una scelta sicuramente di classe per quegli anni.

Prediletto da Leonor, che come sappiamo ama il travestimento, acquista dai guardaroba dell’Opéra i costumi delle antiche regine, oppure glieli presta l’amica Elsa Schiapparelli. Il suo atelier è una specie di palcoscenico metafisico. È solita presentarsi agli ospiti con maschere feline, indossa abiti da lei disegnati durante i balli in maschera che negli anni 50 e 60 erano di gran moda a Venezia, Montecarlo e Parigi, ricordando le vesti sgargianti, i mantelli di piume e paillettes da donna-uccello, da angelo nero con ali, e donna-gatto, simbolo ricorrente nelle sue opere e nella sua vita, poiché lo ritiene come creatura superiore per la potenza dello sguardo di cui sembra appropriarsi fin da piccola. Non è un’attrice, ma è presa dall’inevitabile teatralità della vita.

 
 

« Travestirsi è un modo per cambiare dimensione, specie e spazio. Significa sentirsi giganteschi, diventare vegetali, animali, sino a sentirsi invulnerabili e fuori dal tempo, ritrovarsi in riti dimenticati. Travestirsi è un atto di creatività. È una rappresentazione di sé e dei fantasmi che si portano in sé »

- “Le livre de Leonor Fini”, 1975

Una dea di bellezza e potere femminile, estremamente intelligente e passionale, traspare dalle sue opere una visione che trafigge e seduce, con un gusto per il fondersi di culture e stili fatta di opposti, controversi come lei, riflette sulla sua intera esistenza quella voglia di liberazione da ogni schema, superando e trasformando la realtà, attribuendo ai suoi sogni una forma così naturale.

 
 

Pura magia ed esaltazione dei sensi.

A cura di Giada Farina

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