Donne Ritrovate - Anna Karina

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Chi vi viene in mente se dico il nome: Hanna Karin Blarke Bayer?

Una ragazzina danese, descrive la sua infanzia come una "terribile volontà di essere amata” causata dalla famiglia che l’ha abbandonata a sé stessa, con un forte desiderio di fuga. Disse ingenuamente che voleva fare “l’avventuriera”, ciò per lei significava una persona che canta, balla e suona in luoghi pubblici, un po’ come Molière! Lascia la scuola a 14 anni e dopo una serie di bizzarri lavori, scrive articoli e disegna per far qualche soldo fino ad esibirsi in piccoli cabaret; ma fu la figurazione nel cortometraggio “La fille avec ses chaussures”, che le diede il desiderio di fare l'attrice. Il regista la scelse dalla strada, quando lei camminava lui sentiva come se stesse ballando.

Dopo ripetuti litigi con la madre, conosciuta costumista di teatro, con cento corone con sè sceglie di scappare da sola nel cuore pulsante di Parigi, nel 1958, e alloggia in un hotel vicino Bastille. Non parlava francese, “ Ero seduta in un cafè, a Les Deux Magots, nei miei blue jeans, senza trucco e il minimo senso del vestire, ma fui fortunata, quando si avvicinò una donna e mi chiese se volevo posare per Jours de France ”. Era una fan di Edith Piaf, Charles Trenet, Dreyer, della poesia francese. Appena guadagnava qualcosa come modella, andava alla Cinémathèque con pochi centesimi per scoprire i più grandi capolavori. Fu grazie all’incontro poco tempo dopo con Coco Chanel, il quale la convinse a cambiare il suo nome con quello che oggi tutti conosciamo, Anna Karina.

Furono gli anni degli incontri casuali nei café, delle grandi passeggiate nelle rues parisiennes.


Iniziò ad avere proposte per cortometraggi e piccoli ruoli ancor prima di parlare bene il francese. All’epoca Jean-Luc Godard stava girando “À bout de souffle”, quando notò Anna in uno spot pubblicitario, la invitò per discutere per un ruolo secondario nel suo film. Non avendo la minima idea di chi fosse, quando lo incontrò lo descrisse come un uomo timido e allo stesso tempo strambo, avvolto dal mistero dei piccoli occhiali da sole neri che portava sempre. Rifiutò subito la proposta perché non si sentiva a proprio agio spogliarsi, soprattutto per un piccolo ruolo .

Si rincontrarono dopo un anno e questa volta le propose un ruolo principale, lei accettò anche se non sapeva di ciò che parlava veramente, perché Mr. Godard era solito a scrivere la sceneggiatura all’ultimo momento.

Era “Le Petit Soldat”. Jean-Luc chiedeva ai due attori di camminare per la stanza, parlare e fumare una sigaretta allo stesso tempo, rifletteva sullo schermo cosa facevano per vivere. Era la telecamera che si doveva adattare all’attore. Sembra che si innamorò di Anna mentre filmava i suoi movimenti sul set, per lei era magnetico, si guardavano per tutto il tempo delle riprese.


Una sera le fece trovare un biglietto:

“Je vous aime” e poi un appuntamento a Ginevra al Café de la Paix, a mezzanotte.

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Con il suo film successivo “Une femme est une femme”, fu premiata a Berlino come miglior attrice, dopo soli tre anni dal suo arrivo a Parigi.

Anna sostiene che bisogna sempre avere una sorpresa anche con una storia magnifica, ci sono segreti, ecco cosa è bello.

Una ragazza meravigliosamente bella nella vita potrebbe non andare bene sullo schermo, poiché una ragazza meno bella potrebbe diventare bella.

La telecamera è un'amica, è lo sguardo del regista, è lo specchio, devi essere amato dalla telecamera. E quando anche la fotocamera ti ama, regala cose sublimi.

 
 

L’incontro, la collaborazione e poi il matrimonio con Jean-Luc Godard furono determinanti per la sua vita, che dopo la sua difficile infanzia, le diede il gusto di leggere, scrivere, dipingere, interessarsi alle cose.

Lui dipinge tutti i suoi film, c’è sempre un occhiolino, parla sempre di pittura. Le fa leggere successivamente Céline, poiché pensava che non dovesse iniziare sempre con le cose più violenti e difficili, seppur le più belle.

Si impone come regista-autrice nei film “Vivre ensemble”, “Victoria”, e scrive tre romanzi. La sua carriera si è sviluppata anche come cantante, a fianco di Serge Gainsbourg.

 
 

Tutto ciò che non potevo vivere nella sua infanzia, l’ha vissuta al cinema:

“ Jean-Luc Godard era la mia famiglia, era tutto ciò che avevo. A quel tempo, anche in relazione alla mia immaginazione... ero in grado di esprimermi.

Ho potuto viaggiare, ho imparato molto sul cinema e sulle persone che ho incontrato. Il cinema era una scuola. Sono stato fortunata a conoscere l’élite, le persone più forti e meravigliose, e non sto solo parlando di Jean-Luc, anche se viene per primo, ma c'era anche Visconti , Cukor, Fassbinder, Rivette, Tony Richardson, così tante persone che mi hanno insegnato cose incredibili ogni volta.”

Un’artista ironica, con una sfrontata fanciullezza per quel tempo che la rendeva libera.

Il suo, era lo sguardo della Nouvelle Vague, il bianco e nero del volto di Nanà in “Vivre sa vie” che piange guardando silenziosamente la Giovanna d’Arco di Dreyer, resta il primo piano più bello di quegli anni.

Grazie per la bellezza Anna.

A cura di Giada Farina

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